Palazzo Vecchio - Piazza della Libertà 5 - Bagnacavallo (RA) tel. 320.8381863 e-mail: cinemabagnac

Palazzo Vecchio - Piazza della Libertà 5 - Bagnacavallo (RA) tel. 320.8381863 - 333.7866395 e-mail: cinemabagnacavallo@gmail.com Fb e Instagram: cinema palazzo vecchio. Il parcheggio in Piazza della Libertà è sempre gratuito dalle ore 20. Orario spettacoli: Martedì, Mercoledì, Venerdì, Sabato ore 21.00 Domenica ore 16 e ore 21

mercoledì 17 dicembre 2008

Venerdi 19 e sabato 20 dicembre - Sotto le bombe

Sotto le bombe

di Philippe Aractingi. Con Nada Abou Farhat, Georges Khabbaz, Rawya El Chab, Bshara Atallah. Titolo originale Sous les bombes. Drammatico, durata 98 min. - Francia, Gran Bretagna, Libano 2007.


Libano, 2006. All'indomani dell'annuncio del cessate il fuoco tra l'esercito israeliano e i militanti Hezbollah, Zeina parte da Dubai alla ricerca disperata della sorella e del figlio. Giunta in Libano, attraverso la Turchia, incontra un tassista disposto a condurla per trecento dollari nel sud del paese. Tony e Zeina intraprenderanno un viaggio nel cuore di una terra martoriata dalle bombe, imparando a conoscersi e affrontando insieme un futuro incerto.
Esistono film "di guerra" realizzati ad una certa distanza temporale dal momento storico messo in scena e altri prodotti se non contemporaneamente ai conflitti stessi, in stretta continuità temporale. Se prendiamo come termine d'esempio la Seconda Guerra Mondiale, Salvate il soldato Ryan risulta un buon esempio di film "diacronico", Sotto le bombe del regista franco-libanese Philippe Aractingi può essere a ragione inteso quale film "sincronico". Al di là dell'arbitrarietà che simili operazioni di categorizzazione si portano dietro, Sotto le bombe è stato davvero pensato dal suo autore durante il terzo conflitto armato israelo-libanese e realizzato in stretto rapporto, anche cronologico, con l'evento traumatico. Nonostante la generazione dell'opera in evidenti condizioni di urgenza emotiva e creativa, presupposto dichiarato a partire dal titolo, Sotto le bombe non viene confezionato in termini di propaganda.
Per nulla disposto a puntare il dito contro Israele o Hezbollah o a farsi portatore di una qualche rilevante valenza ideologica, Aractingi riflette sui modi di percezione della violenza da parte dei civili, estranei alle logiche geopolitiche delle potenze in conflitto. Il punto di vista è quello di una "platea" quotidianamente ferita da quelle stesse logiche.
Assimilata la lezione neorealista (la costruzione di un nuovo statuto del verosimile inteso a fare apparire più "realtà" sullo schermo) e disertato l'universo tradizionale dei teatri di posa, il regista introduce due attori in ambienti autentici integrandoli con i rifugiati: uomini, donne e bambini che interpretano se stessi. Il primo piano riguarda l'anima umana, immersa fino al collo nelle macerie e nella polvere alzata dalle bombe e nel vuoto morale e civile della società contemporanea. Il taxi di Tony, che accoglie, ricovera e accompagna la speranza di una madre sciita di ritrovare il suo bambino, è un'arca scampata a un diluvio di bombe, un mondo uterino dove persino il tassista cristiano acquieta la sua angoscia e sogna una "resurrezione". È anche e ancora il luogo dove resistere, ricercando quello che si è perso, un figlio o un fratello, il luogo dove riscoprire l'intimità e la dolcezza di cui i protagonisti avevano disperatamente bisogno.
La leggerezza e l'economicità delle nuove tecnologie hanno offerto all'autore condizioni ideali per condurre il cinema in un territorio pericoloso dove non sarebbe mai arrivato. Sotto le bombe e sopra le rovine, dentro i centri di accoglienza e in prossimità di ponti crollati aleggia infine un'insostenibile precarietà del vivere, sostituita nella dissolvenza in nero dell'epilogo con una pulsione alla vita: la carezza di un orfano a una madre privata di un figlio.

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martedì 9 dicembre 2008

venerdì 12 e sabato 13 - Improvvisamente, l'inverno scorso

Improvvisamente, l'inverno scorso

Un film di Gustav Hofer, Luca Ragazzi.
Documentario, durata 80 min. - Italia 2007.



uca e Gustav sono giovani, belli, hanno un buon lavoro e stanno insieme da più di otto anni. Hanno superato tranquillamente la crisi del settimo anno ma, all'inizio del 2007, si ritrovano ad affrontare un'emergenza ben più grossa che supera i limiti del privato. L'8 febbraio il governo italiano propone una legge sulle coppie di fatto, i famosi DICO (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi). A sedere sulla cattedra legislativa degli autori ci sono il Ministro Barbara Pollastrini e Rosy Bindi. Luca e Gustav, consapevoli dell'importanza dell'evento, decidono di prendere una telecamera digitale e andare in strada a intervistare la gente per capire meglio cosa sta succedendo.
L'idea dei due registi nasce da un'indignazione che è talmente forte da andare oltre a velleità artificiose ed esibizionistiche. Si mantengono saldi all'idea di mostrare uno spaccato della società italiana, con pregi e difetti, nel modo più autentico possibile. Non a caso, per salvaguardare una libera indipendenza autoriale, hanno lavorato con un budget di appena 4 mila euro, rifiutando finanziamenti di alcun genere. Il risultato è un ottimo lavoro che trova il punto di forza nella spontaneità degli intenti. I due protagonisti sono uno un esperto d'arte che lavora per un canale televisivo franco-tedesco e l'altro un giornalista specializzato in critica cinematografica. Conoscono il mestiere del cinema per passione ed è proprio questo temperamento genuino che li ha aiutati a costruire un reportage vero e commovente, senza ninnoli o abbellimenti, vicino alla realtà dei fatti.
Il film, che rimanda con il titolo allo scandaloso Improvvisamente l'estate scorsa di Mankiewicz, comincia mostrando la quotidianità della loro vita di coppia: la colazione al mattino, la lettura del giornale, il lavoro e gli hobby, compresi i litigi e gli screzi che tutti i conviventi (sposati e celibi, omosessuali ed etero) conoscono perfettamente. Poi la macchina da presa si sposta sulla legge in questione. Tutti i 14 articoli dei DICO, dal diritto di assistenza in caso di malattia alla successione nel contratto di locazione, sono spiegati in modo semplice e chiaro (forse per la prima volta in un modo così efficace!) con intere sequenze in stop-motion: le persone sono cartoni animati, la casa è di cartone, Speedy Gonzales è uno straniero e il "piccolo principe" è un extracomunitario. La voce narrante di Veronica Pivetti lega insieme gli avvenimenti, dalla proposta iniziale dei DICO all'insabbiamento finale della legge. Decreto che, dopo svariate discussioni in Senato e numerose manifestazioni popolari pro e contro, è svanito nel nulla. O meglio. Si è prima trasformato in CUS (che sta per Contratto di Unione Solidale) e poi si è perso definitivamente nei corridoi di Palazzo Madama. La cosa grave è che nessun politico, se escludiamo la Pollastrini, lo sta più cercando.
Luca e Gustav intervistano componenti della Militia Christi, partecipano alla fiaccolata de Il Trifoglio e chiedono ai manifestanti del Family Day che cosa pensano dei DICO. La ricerca non è faziosa, tante sono le risposte a favore tanto sono quelle contrarie. A fine documentario però rimangono in mente solo quelle negative: Buttiglione dichiara "Niente figli, niente famiglia" dimenticandosi delle coppie sterili, e molti altri ruotano attorno all'idea che "l'omosessualità è una devianza naturale, una malattia da curare", seguendo una linea preoccupante di omofobia aggressiva. Questa, accompagnata dall'influenza dei media e dalle incursioni del Vaticano, sconforta sempre più i due registi, partiti ottimisti e fiduciosi e finiti nell’amarezza di un'Italia che non avrebbero voluto scoprire.
Gli autori del documentario si rivelano due fuoriclasse. Di quelli capaci di rispettare il rigore e la fatica di un viaggio, tra polemiche ed acclamazioni, stando attenti a non scordarsi l'ironia e i paradossi della vita. Dopotutto è cosa nota: l'amore tra due persone è forse l'unico sentimento nobile e uguale per tutti. Ma la legge è un po' distratta e non ha ancora capito cosa significa la parola "tutti".

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giovedì 4 dicembre 2008

Venerdì 05 e sabato 06 - Go Go Tales

Go Go Tales
di Abel Ferrara.
Con Willem Dafoe, Bob Hoskins, Matthew Modine, Roy Dotrice, Riccardo Scamarcio, Burt Young, Stefania Rocca, Asia Argento.

Drammatico, durata 100 min. - USA, Italia 2007.


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Ray Ruby è il titolare di un club di lap dance denominato «Paradise» in downtown Manhattan. Lo coadiuva l'amministratore Jay mentre il silente fratello Johnny è colui che finanzia l'impresa. Il problema è dato dal fatto che il fallimento è alle porte e l'anziana proprietaria dell'immobile non sembra più contenibile.
Si precipita nel locale in piena attività reclamando i mesi di affitto non percepiti. Se aggiungiamo che Johnny comunica a Ray che non ha più intenzione di dargli un dollaro e che le ballerine sono intenzionate a tenersi addosso i vestiti in una sorta di sciopero dello strip tease, si può facilmente indovinare quale sia il clima che domina nel locale. Diventa indispensabile trovare una soluzione.
Dopo il complesso e controverso Mary, Ferrara torna a circondarsi di attori amici (Dafoe, Modine, Argento) per raccontarci un divertissement affollato e claustrofobico. Il Paradise diventa così un luogo al contempo vicino e distante dal lontano (nel tempo) New Rose Hotel. Distante perché là i personaggi erano poco numerosi. Vicino perché torna di nuovo a essere ampia la confusione sotto il cielo ferrariano.
Come nell'altmaniano Radio America ci viene raccontato il rischio di chiusura di un luogo d'intrattenimento. Ovviamente quello di Abel non può essere altro che un paradiso di nome per un inferno di fatto, dato non tanto dagli strip tease (assolutamente vietato toccare le ragazze), quanto dal tono da commedia in nero (quasi sontuosa sul piano fotografico).
Il Paradise è una babele di suoni, rumori e attrazioni da cui sembrano autoescludersi uomini e donne come esseri umani. Sono tutti impegnati nei loro ruoli da commedia. La commedia della vita? Se pensiamo al Ferrara dei film migliori dobbiamo dire di sì. Tre stelle alla carriera.

martedì 25 novembre 2008

Venerdì 28 e sabato 29 novembre - Il matrimonio è un affare di famiglia

Il matrimonio è un affare di famiglia

Un film di Cherie Nowlan. Con Brenda Blethyn, Khan Chittenden, Emma Booth, Frankie J. Holden, Rebecca Gibney.


Titolo originale Clubland. Commedia, durata 109 min. - Australia 2007.


Jean Dwight in passato è stata sul punto di diventare famosa come stand up comedian. Il matrimonio con un cantante e la nascita di due figli (uno dei quali affetto da handicap) hanno interrotto il suo percorso di artista. Ora lavora come cuoca, ha divorziato e si esibisce in locali di seconda categoria. La sua vita potrebbe scorrere in una malinconica tranquillità se non fosse che il figlio adolescente Tim, che si guadagna da vivere facendo traslochi, conosce proprio nel corso di uno di questi conosce Jill della quale si innamora ricambiato con un’intensità (anche dal punto di vista sessuale) che lo imbarazza. Anche perché Jean non riesce a non intromettersi nella sua vita amorosa rischiando in più di un’occasione di provocare una rottura tra i due ragazzi. Dopo che avrà conosciuto la possibile futura nuora la situazione si farà ancora più complessa.
All'inizio Clubland (titolo non da commedia di serie B come quello appiccicatogli in Italia) potrebbe sembrare l'ennesimo film sull'artista frustrata con un grande avvenire dietro le spalle, un personaggio che abbiamo incontrato più volte sullo schermo. Invece non è così perché non solo la grandezza di Brenda Blethyn è capace di infondere nel ruolo una originalità inattesa ma anche perché la sceneggiatura, scritta da un veterano come Keith Thompson, si muove su piani diversi ed è in grado di farci aderire ad ognuno di essi. Perché non possiamo non simpatizzare con Tim che si trova nel difficile ruolo di figlio di una madre che ha riversato su di lui e sul fratello tutto il suo pervasivo affetto.
Tim si trova nella fase della vita in cui ormoni e cuore fondono le forze e Jill, la ragazza che ha la fortuna di incontrare, è partecipe su entrambi i versanti e, come spesso accade, più matura di lui e quindi non disposta ad accettare l’invadenza di Jean. Ma della vita della famiglia è parte integrante ed integrata anche Mark il cui handicap non gli impedisce di essere attento ai sussulti che scuotono la vita di chi gli sta intorno. Quando anche lui esplicita il bisogno di un’affettività che trascenda quella materna per Jean si presenta un ulteriore elemento di crisi.
Tutto questo è raccontato con una leggerezza e, al contempo, una profondità di descrizione delle psicologie che sono capaci di toccare la testa e il cuore. Il matrimonio è un affare di famiglia non è un blockbuster ma di sicuro è un piccolo grande film.

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martedì 18 novembre 2008

venerdi 21 e sabato 22 novembre - Sonetàula

Sonetàula di Salvatore Mereu.

Con Francesco Falchetto, Manuela Martelli, Lazar Ristovski, Antonio Crisponi, Serafino Spiggia.Giuseppe Cuccu, Giselda Volodi
Drammatico, durata 157 min. - Italia 2007.

Un film fatto di toni bruni e di muschio, del riflesso azzurrino del basalto sotto il sole, solido e nobileC’è la Sardegna di Banditi a Orgosolo (gli strapiombi, i cavalli e anche un attore: Serafino Spiggia) e quella di Padre Padrone (la solitudine e l’angoscia dell’infanzia), ci sono le facce e il pudore dei sentimenti di Olmi (soprattutto negli occhi di un’attrice incantevole: la cilena Manuela Martelli) e il guardia e ladri meccanico e rassegnato di Salvatore Giuliano con i carabinieri che corrono e la cartuccera che ballonzola, ma la prima, violenta, qualità di questo secondo film di Mereu (messosi in luce con Ballo a tre passi), è la stoffa antica del linguaggio. Dal romanzo di uno dei volti più carismatici del giornalismo degli anni 70 (Giuseppe Fiori), tredici anni di un giovane pastore, dal 1937 al 1950, che prima perde il padre al confino durante il fascismo e poi passa al brigantaggio con l’avvento della Repubblica, raccontati con un cinema lontano dalla fiction quanto De Andrè lo è da Briatore. Una lunga galleria di quadri intitolati al protagonista, Sonetàula (che, letteralmente, indica il rumore della legna), al nonno (il citato Spiggia), ai ragazzini che badano alle bestie e ai banditi come lui o agli umili operai dopo la guerra: come nei romanzi di Verga, non c’è sventura che non possa essere narrata dal brusio smozzicato da lunghi silenzi intorno a un fuoco. Un film, insomma, fatto di toni bruni e di muschio, del riflesso azzurrino del basalto sotto la luna, solido e nobile come una quercia, che ricorda anche l’Anghelopoulos di O Megalexandros (sensazione acuita dalla musicalità sibilante del sardo, sottotitolato, che ricorda il greco): ascolta lo sconquasso della modernità dall’interno di una civiltà dove ogni boato, remoto, è ancora coperto dal belare del gregge, dal frastuono leggero del camino, dal latrato dei cani nella notte.

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http://it.youtube.com/watch?v=H5r2luZGIHU

domenica 9 novembre 2008

Venerdi 14 e sabato 15 novembre - Interview

Interview
Un film di Steve Buscemi. Con Steve Buscemi, Sienna Miller, Michael Buscemi, Jackson Loo, Tara Elders, Robert Hines, David Schecter, Molly Griffith, Doc Dougherty. Genere Drammatico, colore 81 minuti. - Produzione USA 2007.


Buscemi porta in scena l'eterno gioco dell'apparire in una raffinatissima apologia della menzogna


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Pierre Peders, autorevole reporter di guerra in declino, è costretto suo malgrado ad intervistare una nota starlette della televisione americana, la bionda e apparentemente inconsistente Katya. Dopo una vivace schermaglia al tavolo di un ristorante alla moda, dove l'attrice si fa attendere oltre l'ora, il giornalista contrariato si allontana in taxi. Un incidente provocato involontariamente dall'avvenenza di Katya la metterà di nuovo a confronto con Pierre. Invitato a salire nel suo loft di New York, Pierre avvierà un'intervista senza esclusione di colpi. Tra rivelazioni e menzogne, soltanto uno porterà il punto a casa.
Al centro delle immagini di Interview, remake americano del film omonimo di Theo van Gogh, c'è paradossalmente quella non-immagine che è la parola, invisibile ma potente. La caratteristica del film di Buscemi è l'apparente assenza di azione. Le "imprese" che hanno determinato i caratteri e la professione dei protagonisti, il cinico giornalista e la capricciosa attrice di soap, sono soltanto evocate dalle battute dei personaggi, che parlano incessantemente perché parlare è l'unico modo in cui possono agire. C'è di più. Steve Buscemi mette in scena una raffinatissima apologia della menzogna. Le azioni e i fatti di vita riferiti non solo non vengono rappresentati ma molto spesso non sono neanche mai accaduti nella realtà del dramma, perché i due protagonisti mentono.
Il Pierre di Buscemi e la Katya della Miller non si dicono che magnifiche bugie: il giornalista inganna l'attrice, l'attrice recita per il giornalista. Pur cercando una sua autonomia rappresentativa e mancando l'evidenza diretta di un sipario che si apre e si chiude all'inizio e alla fine, Interview dichiara un impianto teatrale. Sul palcoscenico del loft, tra scarti, slittamenti, sovrapposizioni e capovolgimenti, i due protagonisti, esemplari nella loro perfidia, si mettono a giocare studiando a tavolino strategie e mosse da seguire per conquistare le confessioni intime della star (lui) o per preservare quella stessa intimità (lei). Tutta l'opera di confronto, scontro e seduzione di Pierre e Katya si muove sui binari di un sottile meccanismo psicologico, volto a compromettere e a sopraffare completamente l'oggetto dell'intervista o l'intervistatore.
Steve Buscemi e Sienna Miller danno prova di un'abilità fisica e tecnica straordinaria, dimostrando il potere alchemico della parola e portando in scena l'eterno gioco dell'apparire e dell'essere. La verità è qualcosa che continua a sfuggire, qualcosa che può svelarsi per rivelarsi subito dopo come ennesima falsa verità. Parola di attore e di autore.

giovedì 6 novembre 2008

Venerdì 7 e sabato 8 - L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza

L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza

Un film di Cao Hamburger. Con Michel Joelsas, Germano Haiut, Paulo Autran, Daniela Piepszyk, Simone Spoladore, Caio Blat, Liliana Castro. Genere Drammatico, colore 104 minuti. - Produzione Brasile 2006.

Presentato in concorso alla cinquasettantesima edizione della Berlinale, L'anno in cui i miei genitori andarono in vacanza rappresenta bene l’evoluzione cinematografica che un paese come il Brasile ha realizzato negli ultimi dieci anni. Dal 1995 sembra viva una stagione felice, la cosiddetta “retomada”. Il suo “processo di risensibilizzazione” consiste nel riscoprire le identità e nel far conoscere e rendere protagoniste le problematiche della vita urbana, le zone di frontiera e le aree di frattura sociale.
Lungi dal voler essere un semplice film di formazione in cui si mostra il passaggio del protagonista dall'infanzia alla sfera adulta, la vicenda tratta un tema impegnativo e importante come quello dell’esilio. Ognuno dei protagonisti si scontra con questa realtà sia letteralmente che metaforicamente. I genitori del protagonista sono costretti a lasciare il proprio figlio in quanto attivisti politici. Mauro non riesce a gustare fino in fondo le bellezze dell’infanzia in quanto perennemente in bilico tra il mondo reale e quello sognato. Il Brasile, stesso, risulta essere un personaggio in esilio. La passione e il calore che il suo popolo dimostra attraverso il tifo per i Mondiali del 1970 non ha nulla da spartire con il regime interno schiacciato dal potere di pochi.
Con un tono tipico della commedia, il piccolo protagonista sembra ricoprire il ruolo di regista. Grazie al suo sguardo curioso e alla vivace voce (è anche il narratore della storia) diveniamo quasi complici della sua capacità di adattamento a un mondo per lui ignoto e ostile. Fondamentali nella pellicola i colori del Bom Retiro, il frenetico quartiere in cui Mauro vive e che rappresenta, a suo modo, un vero e proprio universo in scala ridotta. Portoghese, yiddish, tedesco e italiano sono le lingue parlate. La ricca offerta di stimoli culturali viene assorbita da Mauro e dai suoi giovanissimi amici con un candore e una leggerezza che controbilancia bene le tragedie di quegli anni.

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sabato 1 novembre 2008

Sabato 1 novembre - Tibet - Il grido di un popolo

Tibet - Il grido di un popolo

(Tibet: Cry of the Snow Lion)

Un film di Tom Peosay. Genere Documentario, 104 minuti. - Produzione USA 2002.

Questo incredibile documentario ha richiesto una produzione lunga ben dieci anni, durante i quali sono stati effettuati ben nove viaggi in Tibet, in India e in Nepal. Una lunga e travagliata esperienza che però permette di poter finalmente vedere "il tetto del mondo" come mai prima era stato possibile realizzare. Dai remoti monasteri e i loro rituali alle corse coi cavalli dei guerrieri Khamba; dai bordelli e la povertà della città santa di Lhasa alle magnifiche alture dei monti himalayani che vengono ancora raggiunte dalle carovane e dagli yak.


i primi dieci minuti del film in inglese (fonte it.youtube.com)

domenica 26 ottobre 2008

venerdi 31 ottobre - Cinema di animazione in Giappone

Il meglio della produzione giapponese
dell'ultimo decennio
Cortometraggi d'autore 2002 -2008 Con opere di: Asakura Maya, Fujita Junpei, Hosokawa Shin, Kato Kunio, Kondo Akino, Kurimoto Kengo, Mizue Mirai, Yamamura Koji.

in collaborazione con Ars Ennesima - 6° Ottobre Giapponese




















Il programma:

1) Ai (Love), di Kuri Yoji (1966) 4' 20"
2) Manga, di Kuri Yoji (1977) 7'
3) Japanese, di Kinoshita Renzo (1977) 3'40"
4) Pikadon, di Kinoshita Renzo (1978) 3'30
5) Atamayama, di Yamamura Koji (2002) 10'
6) A long day of Mr. Calpaccio, di Urumadelvi (2005) 10'
7) Exit. Hotel Invaders, di Tomioka Satoshi (2007) 1'
8) La maison en petit cubes, di Kato Kunio (2008) 10'


Kuri Yoji è senza dubbio uno degli animatori indipendenti giapponesi 
più noti e acclamati sia in patria che oltre confine. Simbolo di 
un'animazione per adulti, Kuri, anche grazie a una costante e 
premiata presenza in tutti i festival internazionali dell'animazione, 
fu un efficace ambasciatore dell'animazione indipendente nipponica, 
molto spesso ignorata o sottovalutata.
Autore estremamente prolifico, la sua filmografia contiene più di 
trecentocinquanta lavori fra film e brevi animazioni preparate per 
l'industria pubblicitaria.
La visione dei cambiamenti all'interno della relazione fra uomo e 
donna è ben illustrata nel film Ai (Amore,1963, premiato al festival 
di Venezia del 1963). L'azione del film è incentrata sul tema della 
caccia, la caccia per amore, per la soddisfazione sessuale, la caccia 
che ha come scopo la sopraffazione e il dominio assoluto.

Renzo Kinoshita (1936-1997) ha iniziato l'attività di animatore 
indipendente nel 1967. Il suo più famoso lavoro, Made in Japan, ha 
vinto il primo premio al New York International Animation Festival, 
nel 1972. Nel 1985 è stato tra i fondatori dell' Hiroshima Animation 
Festival, con la moglie, Sayoko. altri suoi lavori assai noti sono 
Japanese (1977), una summa della storia del Giappone degli ultimi 200 
anni e Picadon (1978) una commovente rappresentazione (la prima a 
cartoni animati) degli orrori dell'attacco atomico a Hiroshima.

Yamamura Koji, a lungo considerato ilragazzo prodigio dell'animazione 
giapponese, ha esordito a soli tredici anni. In breve tempo, 
attraverso il proprio studio indipendente, ha esportato il suo nome e 
la sua arte nei principali palcoscenici dell'animazione di qualità, 
da Hiroshima e Annecy, fino a Chicago e Berlino.
Atama yama, del 2002, è basato su un antico racconto del repertorio 
rakugo. La testa di un uomo diventa un terreno fertile sul quale 
crescono bellissimi alberi di ciliegio. Questi diventano a loro volta 
la meta di gitanti che si affollano per osservarne i fiori, il che 
induce l'uomo alla disperazione, finché decide di tagliare tutti gli 
alberi cresciuti sulla sua testa.

UrumaDelvi. In un bianco e nero dalle linee decise, A Long Day of Mr. 
Calpaccio sfrutta ottimamente la computergrafica bidimensionale. Il 
team creativo UrumaDelvi forgia le ritmiche avventure dello 
stilizzato signor Calpaccio e del suo mondo: una giornata scandita 
dalle lancette dell´orologio, tra un viaggio di lavoro in aereo, 
l´attività di consulente in fabbrica e lo shopping familiare. 
Eccellente lavoro di design visivo e sonoro

Tomioka Satoshi, eccellente designer e ineffabile surrealista 
satirico, capace di utilizzare il 3D in composizioni di grande ritmo 
e potente fascino visivo. Exit: Hotel Invaders, di ambientazione 
alberghiera. è realizzata come "viral" per il videogioco Exit 
della Taito.

Kunio Kato. Applauditissimo vincitore del Grand Prix assoluto al 
Festival di Annecy di quest´anno, La maison en petits cubes ("La 
casa fatta di piccoli cubi") è il nuovo film di Kunio Kato, già 
noto come creatore del personaggio del malinconico viaggiatore Tortov 
Roddle, anch´esso prodotto dalla studio Robot Communications. Il suo 
stile di disegno, estremamente debitore del tratto europeo, propone 
stavolta la discesa nei ricordi della vita di un anziano solitario in 
un mondo sommerso dalle acque.

mercoledì 22 ottobre 2008

Venerdì 24 e sabato 25 - Jimmy della collina

Jimmy della Collina

Un film di Enrico Pau. Con Nicola Adamo, Valentina Carnelutti, Francesco Origo, Massimiliano Medda, Giovanni Carroni, Gisella Vacca, Caterina Silva. Genere Drammatico, colore 86 minuti. - Produzione Italia 2006.

Jimmy vive in Sardegna e non ha un'occupazione perché non intende piegarsi ai ritmi del lavoro in raffineria. Tenta una rapina e viene catturato. Passa così dal carcere minorile a una comunità di recupero (che esiste realmente e che si chiama "La collina"). Qui incontra Claudia, una delle collaboratrici del sacerdote che ha fondato la comunità. Il rapporto tra i due è complesso anche perchè Claudia ha un passato da ex reclusa.


Presentazione del film "Jimmy della Collina" con Aspiro Erba



venerdì 26 settembre 2008

IL PROGRAMMA

Programma ottobre – dicembre 2008

24 e 25 ottobre
JMMY DELLA COLLINA
di Enrico Pau. drammatico 86 min. - Italia 2006
Ispirato a un romanzo di Massimo Carlotto, la vita di un giovane ribelle dal carcere alla comunità.

31 ott
CINEMA DI ANIMAZIONE GIAPPONESE
Cortometraggi d'autore. Il meglio della produzione giapponese dell'ultimo decennio.
in collaborazione con Ars Ennesima. 6° Ottobre giapponese

1 nov
TIBET, IL GRIDO DI UN POPOLO
di Tom Peosay. Genere Documentario, 104 minuti. - Produzione USA 2002.
Dieci anni di produzione per vedere "il tetto del mondo" come mai prima era stato possibile realizzare.
In collaborazione con Rete associazioni per la Pace di Bagnacavallo

7 e 8 nov
L'ANNO IN CUI I MIEI GENITORI ANDARONO IN VACANZA
di Cao Hamburger. commedia 104 min - brasile 2006
ricordi dell'estate del 1970 di un ragazzino di 12 anni che si ritrova a crescere nel Brasile della dittatura militare.

14 e 15 nov
INTERVIEW
di Steve Buscemi, drammatico usa 2007 - 81 minuti
Buscemi porta in scena l'eterno gioco dell'apparire in una raffinatissima apologia della menzogna

21 e 22 nov
SONETAULA
di Salvatore Mereu. dramamtico - Italia 2007 142 minuti
una Sardegna arcaica, un toccante romanzo di formazione, dove gli uomini sono vittima del fato e di vendette interminabili

28 e 29 nov
IL MATRIMONIO E' UN AFFARE DI FAMIGLIA
di Cherie Nowlan. commedia australia 2007 - 107minuti
Una commedia agrodolce con il triangolo sentimentale madre-figlio-fidanzata.

5 e 6 dic
GO GO TALES
di Abel Ferrara. drammatico usa 2007 - 100 min
il talento radicale di Abel Ferrara e il mondo della lap dance

12 e 13 dic
INCONTRO CON I REGISTI
IMPROVVISAMENTE, L'INVERNO SCORSO
di Gustav Hofer, Luca Ragazzi. Genere Documentario, colore 80 minuti. - Produzione Italia 2007.
Un viaggio ironico nell'Italia dei DICO, tra le dichiarazioni del Vaticano, i politici e la gente in strada

19 e 20 dic
SOTTO LE BOMBE
di Philippe Aractingi. francia 2007 drammatico 98 minuti
Libano, 2006. All'indomani dell'annuncio del cessate il fuoco, una donna parte da Dubai alla ricerca della sorella e del figlio.


All’interno della rassegna
mostra fotografica
la Memoria del Segno
di S. Bassani, A Dionisi, C. Mori, S. Sivieri, R.V. Finzi

mercoledì 24 settembre 2008

la terza edizione al via il 24 ottobre

venerdì 24 ottobre parte la terza edizione
di nuovo cinema Bagnacavallo
a breve il programma completo

venerdì 13 giugno 2008

DAL 12 GIUGNO CINEMA D'ESTATE


dal 12 giugno al 30 agosto
BAGNACAVALLO AL CINEMA - ESTATE 2008

guarda il programma:
www.arenabagnacavallo.com

venerdì 18 aprile 2008

grazie a tutti!

si è conclusa con successo la seconda edizione della rassegna Nuovo Cinema Bagnacavallo.
grazie agli spettatori e ai registi intervenuti

vi aspettiamo

il 12 giugno all'arena estiva
PARCO DELLE CAPPUCCINE

per

Bagnacavallo al cinema - estate 2008

giovedì 10 aprile 2008

Sabato 12 e giovedì 17 aprile - IO NON SONO QUI



Io non sono qui

Un film di Todd Haynes. Con Christian Bale, Cate Blanchett, Marcus Carl Franklin, Richard Gere, Heath Ledger, Ben Whishaw, Charlotte Gainsbourg, David Cross, Bruce Greenwood, Julianne Moore, Michelle Williams, Peter Friedman. Genere Musicale, colore 135 minuti. - Produzione USA 2007.


Profeta, cantastorie, contestatore. Anticonformista, folle, genio assoluto del novecento. Io non sono qui è un viaggio nel tempo di Bob Dylan, attraverso il ritratto di sei personaggi – colti ognuno in un aspetto diverso della vita artistica e privata del menestrello americano – che intrecciano le loro storie di protesta, disagio, erranza e solitudine in una performance evocativa diretta da Todd Haynes. Anche stavolta, in un'ambientazione che riecheggia gli anni sessanta – avvicinandosi con forza alle tematiche dei suoi film più noti come Lontano dal paradiso e Velvet Goldmine – il regista americano sperimenta una narrazione frammentata e psichedelica, utilizzando sei diversi stili di regia all'interno di ogni microcosmo narrativo.
C'è Arthur, poeta simbolista che porta lo stesso nome di Rimbaud, interrogato e poi condannato da una commissione d'inchiesta per i suoi presunti legami con gruppi sovversivi e di estrema sinistra. C'è Woody (Guthrie) un bambino di undici anni scappato da un riformatorio e pronto a raggiungere il capezzale del morente omonimo, il cantante folk che ha influenzato per lungo tempo la musica di Dylan. Poi c'è Jack cantore della protesta al tempo della guerra in Vietnam, Robbie attore e motociclista, Jude l'androgino e cinico cantante folk, e per finire l'illuminato pastore John e il vecchio Billy (The Kid), ispirato al celeberrimo criminale. Quello di Todd Haynes è più di un mockumentary o di un omaggio al Dylan che più amiamo (non a caso è l'unico ritratto che lo stesso Dylan sembra aver davvero apprezzato), ma una miscela perfetta di musica, arte visiva, cinema. Fotografia rigorosa, sei registri narrativi che si intrecciano sul calare degli anni '70, quando le illusioni e le utopie di un mondo migliore si infrangevano definitivamente sul campo di battaglia di una guerra infinita e inutile. C'è la musica, allora, a risollevare le sorti di un'umanità stanca, a dar voce ai poveri e ai diseredati, ma c'è anche il cinema – di Todd Haynes – che ogni volta restituisce la magia delle atmosfere magiche perse nei ricordi.

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venerdì 4 aprile 2008

MODIFICA AL PROGRAMMA - Sabato 5 e giovedi 10 - Viaggio in India


per problemi dovuti alla distribuzione cinematografica e indipendenti dalla nostra volontà, il film "Parole sante" è stato cancellato dalla programmazione.
Ci scusiamo per l'inconveniente.





Sabato 5 e giovedì 10 aprile


Viaggio in India


Un film di Mohsen Makhmalbaf. Con Mahmoud Chokrollahi, Mahnour Shadzi, Karl Maass. Genere Drammatico, colore 86 minuti. - Produzione India 2006.



Un viaggio di nozze intenso e colorato attraverso le contraddizioni della realtà indiana Un uomo e una donna partono dall'Iran per consumare il viaggio di nozze in India. Lei è credente, lui ateo e comunista. Il subcontinente si rileva subito un terreno di confronto e scontro; per lei l'esperienza è di natura spirituale, per lui è l'emblema di quel che può fare "l'oppio dei popoli". Con Viaggio in India, Mohsen Makhmalbaf dà vita a due personaggi complessi e moderni. Lei, prima che una credente una donna decisa a credere, è una figura sensibile ma libera e leggera; su di lui, invece, scetticismo e materialismo pesano come un doloroso carico e la sedia che porta sempre sulle spalle non ne è che un simbolo. I due sposi cercano una risposta alla loro diversità, ma in verità trovano altre e nuove domande. La prima tappa del viaggio è la migliore: trascinati da un fotografo incontrato sul treno, uomo e donna si recano a vedere con i loro occhi il santone che ferma il treno con la forza dello sguardo, salvo poi scoprire che il povero vecchio è prigioniero dei suoi adoratori e incapace di fuggire. Colorato, intenso, con una nota di surreale, l'episodio descrive meglio di ogni altro a venire le contraddizioni del subcontinente indiano che i due protagonisti sono intenti a visitare e a cercare di comprendere. Il tono di questo scorcio di viaggio si fa rimpiangere più che mai quando, a metà film, Makhmalbaf lascia la donna per seguire l'incontro dell'uomo con una prostituta e scivola in tutti i difetti che erano stati del precedente lavoro, Sesso e Filosofia, opera ridondante e ombelicale. È questa anche la parte in cui lo stile documentaristico, che fino a questo momento ha caratterizzato il film, lascia il posto a inquadrature più ricercate che appaiono troppo artefatte. In seguito, il percorso dei nostri riprende quota, per finire nella città santa di Benares, dove l'induismo si manifesta in tutti suoi riti, belli e atroci, lungo le rive del Gange. Ricorrendo alla figura di un terzo oratore, un occidentale che ha scelto di vivere in quel luogo, il discorso del regista si sposta su posizioni relativistiche. Lo straniero elenca le varie risposte che ogni religione offre al mistero della vita e della morte e ne scaturisce una lezione di tolleranza, sentimento sempre più caro al regista iraniano, che l'ha indagato nel contenuto e nella forma anche in opere precedenti (per esempio in Tempo d'amare, dove mostrava le varie possibilità di sviluppo di uno stesso tema). Con Viaggio in India Makhmalbaf dimostra così di aver ritrovato l'ispirazione smarrita e lo sguardo curioso e morale con cui si è fatto conoscere.

venerdì 28 marzo 2008

Sabato 29 marzo e giovedi 3 aprile - AI CONFINI DEL PARADISO

Sabato 29 marzo e giovedi 3 aprile


AI CONFINI DEL PARADISO
Un film di Fatih Akin. Con Baki Davrak, Nursel Kase, Hanna Schygulla, Tuncel Kurtiz, Nurgül Yesilçay, Patrycia Ziolkowska. Genere Drammatico, colore 122 minuti. - Produzione Germania, Turchia 2007.



Ali, vedovo in pensione, crede di aver trovato la soluzione alla sua solitudine quando incontra la prostituta Yeter, anche lei originaria della Turchia. Propone alla donna di vivere con lui in cambio di uno stipendio mensile. Il figlio di Ali, Nejat, giovane professore di tedesco, disapprova la scelta del padre-padrone, ma finisce ben presto per affezionarsi a Yeter, soprattutto quando scopre che gran parte dei soldi che si guadagna duramente vanno in Turchia, per mantenere la figlia agli studi. La morte accidentale di Yeter allontana ancora di più padre e figlio, emotivamente e fisicamente. Nejat torna a Istanbul per cercare la figlia di Yeter.


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guarda l'intervista al regista




venerdì 21 marzo 2008

Sabato 22 e giovedì 27 marzo

Sabato 22 e giovedì 27 marzo

You, the Living

L'essere umano è sempre in bilico tra la grandezza e il baratro della miseria, tra la gioia e la tristezza, tra la fiducia in sé stesso e la paura di non farcela. Nell'alternanza tra il riso e il pianto, la vita è una commedia con un finale tragico o una tragedia piena di avvenimenti comici.

Autore: Roberto Nepoti - Testata: la Repubblica
(...) un film che fa sorridere, spesso, a denti stretti.
Autore: Maurizio Porro - Testata: Il corriere della sera
(...) un geniale film svedese (...). Con una certa voglia di stupire, l'autore mescola storie buffe, disperate e/o grottesche in un'idea di cinema originale che confina con Lars Von Trier, ma soprattutto col nichilismo di Kaurismaki e con certe invettive fassbinderiane. Fin troppa grazia, ma il miscuglio è di quelli di ordinaria e contagiosa follia (...). (...) cinefili agguantatevi questa chicca.



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sabato 15 marzo 2008

Sabato 15 e giovedì 20 - L'abbuffata

Sabato 15 e giovedì 20 - L'abbuffata
di Mimmo Calopresti


Tutti sognano il cinema. E nel bellissimo borgo di Diamante, in Calabria, un gruppo di quattro giovani amici ha finalmente il coraggio di girare un film e, così, di sconvolgere la vita della cittadina. Dalla banda del paese al cinico regista "guru" (Diego Abatantuono) ritiratosi a vita di contemplazione, dalle zie che aspettano ancora l'amor al professore d'inglese (Nino Frassica), dal parroco alla barista (Donatella Finocchiaro), per finire alle stelle del mondo del cinema, al di là dei confini della Calabria, tutti rimangono coinvolti dall'energia, dalla magia e dalla semplicità con cui i quattro ragazzi vogliono costruire un presente e un futuro diverso. E per la grande star (Gérard Depardieu) che ha accettato generosamente di atterrare in Calabria, in compagnia della fidanzata (Valeria Bruni Tedeschi) per girare il loro film, i giovani amici con l'aiuto di tutto il paese prepareranno una grande festa: una vera e propria "abbuffata".


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venerdì 7 marzo 2008

Sabato 8 e giovedì 13 - IL MIO PAESE

Sabato 8 e giovedì 13 - IL MIO PAESE

Un film di Daniele Vicari. Genere Documentario, colore 105 minuti. - Produzione Italia 2006.


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Un viaggio in pullman attraverso l'Italia industriale. Daniele Vicari, dopo Velocità massima e L'orizzonte degli eventi, torna al documentario con questo on the road che percorre le strade dell'attuale realtà lavorativa italiana dalla Sicilia al Veneto. Partendo da Gela e Termini Imerese, e passando per la Basilicata e la Toscana (a Prato, dove il regista ambienterà il suo prossimo filmdi fiction), Vicari approda alla triste realtà di Porto Marghera, lasciando spazio ai volti e alle parole della gente comune. 
La sua esplorazione della nostra penisola ripercorre in senso inverso il viaggio compiuto da Joris Ivens nel 1960 per il documentario 
L'Italia non è un paese povero, spaccato di vita dell'Italia dello sviluppo del dopoguerra, commissionato dal presidente dell'Eni Enrico Mattei. Le drammatiche immagini in bianco e nero del lavoro di Ivens, censurate all'epoca dalla Rai (che mandò in onda a tarda notte una versione depurata del documentario), trovano spazio quarant'anni più tardi nel film di Vicari, alternandosi a immagini di strade riprese attraverso il finestrino di un pullman in corsa, squallidi e desolati scenari industriali, e paesaggi ancora incontaminati della nostra terra. 
Il regista filma con partecipazione "il suo paese", registrando con discrezione e lirismo le testimonianze della popolazione, e raccontando il lavoro in Italia – per lui "uno dei pochi temi davvero universali" - attraverso immagini sgranate, volti spontanei e genuini e suoni vibranti. Note composte appositamente per il film dall'ex CCCP/CSI Massimo Zamboni che, con la canzone finale "Patria attuale", interpretata da Nada, apre uno spiraglio di speranza per questa nostra terra "onesta per metà, e per metà per male".


venerdì 29 febbraio 2008

sabato 1 e giovedì 6 marzo - FUNERAL PARTY

sabato 1 e giovedì 6 marzo - FUNERAL PARTY

Una sconclusionata famiglia inglese si riunisce al funerale del patriarca nella grande casa natale. Le tensioni familiari crescono e vecchi conflitti mai sopiti tornano a galla. Ma la situazione esplode quando un uomo misterioso si presenta al funerale e ricatta i figli minacciando di rivelare l’oscuro segreto del defunto. I due figli faranno di tutto per evitare che la vergognosa notizia trapeli e che i parenti vengano a conoscenza di tale segreto. Quello che dovrebbe essere un giorno di raccoglimento si trasforma così in una rocambolesca catastrofe.

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sabato 23 febbraio 2008

Sabato 23 e giovedi 28 febbraio - PIANO SOLO

Sabato 23 e giovedi 28 febbraio - PIANO SOLO








Rimasto profondamente turbato dalla morte accidentale della madre, il piccolo Luca Flores trova una scappatoia dalla realtà suonando il pianoforte. Dopo il diploma al conservatorio viene introdotto al jazz di Bud Powell e nel giro di qualche anno si fa notare dai maggiori musicisti italiani e da Chet Baker, che lo chiama ad accompagnarlo nel tour europeo.

Piano, solo racconta la storia di un artista tormentato, la sua vita privata, l'ascesa al successo fino al drammatico suicidio.
La storia è piena di "musicisti dall'inferno", artisti così sensibili da perdere qualsiasi contatto con la realtà - agevolati o condannati da una latente patologia psichica - al punto da venire risucchiati dalla musica stessa. Luca Flores è uno dei talenti nascosti del jazz italiano, un pianista vissuto tra il 1956 e il 1995 che durante la sua carriera ha suonato con veri e propri mostri sacri della musica colta, da Massimo Urbani a Chet Baker, ma che sognava di esibirsi in una casetta-giocattolo lontano dagli sguardi del pubblico. A sottrarlo all'oblio, prima ancora di Riccardo Milani, fu Walter Veltroni che nel suo libro "Il disco del mondo" ne narrava la breve vita ricca di trionfi ma di altrettanti dolori. Se il titolo del libro faceva riferimento a un disco amato dal musicista - "Il clavicembalo ben temperato" di Bach - quello del film trova nel preludio di Sergei Rachmaninoff una doppia chiave di lettura, musicale e umana.
Fedele alla ricostruzione letteraria, Piano, solo ne mette in scena i punti salienti: gli anni spensierati in Africa, la morte della madre che graverà come una tacita colpa fino alla fine dei suoi giorni, l'affermazione come pianista, i primi concerti, il favore dei colleghi, l'amore per Cinzia, i primi segnali di squilibrio.
L'installazione drammatica volta a cogliere il lato più oscuro del musicista non offre neanche uno scorcio di leggerezza all'uomo, che persino dinanzi all'amore sembra titubante, distante. Trascendentale di fronte alle scale infinite che ripete al piano con devozione ossessionata - quasi a voler creare un contatto con quella madre che pensa di aver tradito, di aver ucciso - Luca Flores rivive sullo schermo attraverso la postura e lo sguardo di Kim Rossi Stuart.
Senza nulla togliere all'interprete - che regala profondità e contemplazione al musicista - sarebbe stato curioso vedere negli abiti di Flores un attore di diversa estrazione che riuscisse a misurare il lato serio al faceto rendendolo più umano. Considerata la necessità da parte di sceneggiatori e regista di raccontare l'uomo prima ancora dell'artista (esperimento cinematografico pienamente riuscito al Rembrandt di Martin Freeman), si poteva deviare dall'impianto narrativo tradizionale lasciandosi guidare dall'improvvisazione.
Tuttavia fa onore a Riccardo Milani aver riportato alla luce uno dei più formidabili talenti custoditi nella storia del jazz italiano e aver trovato dei protagonisti - notevolmente sobri - che ne potessero preservare la memoria. Tra tutti spicca la Baba di Paola Cortellesi, l'adorata sorella che fu la prima ad avvertire la caduta agli inferi della mente e dello spirito di Luca Flores.

venerdì 15 febbraio 2008

Sabato 16 e giovedì 21 - FAST FOOD NATION

Sabato 16 e giovedì 21 - FAST FOOD NATION
di F. LInklater (Usa 2006, 116')

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Il direttore marketing della Mickey's Food Restaurants (una catena di fast food) si trova a dover lasciare il suo comodo ufficio in California per raggiungere il luogo dove si trova l'industria che macella le bestie e produce gli hamburger che fanno la fortuna della sua impresa commerciale. C'è infatti il sospetto che la carne non sia igienicamente a norma. Nello stabilimento di macellazione lavorano numerosi immigrati messicani giunti negli States illegalmente. Il film segue le loro vicende e quelle del manager.

Richard Linklater si è ispirato al libro-inchiesta omonimo scritto da Eric Schlosser. Invece di trasformarlo in un documentario ha deciso di trarne una fiction con numerosi attori importanti. Dopo SuperSize Me parte un altro attacco conto le catene di fast food. Se queste si giustificano dicendo che è grazie a loro che i meno abbienti possono nutrirsi di carne a un prezzo contenuto, Linklater non è dello stesso avviso. Decide di dirlo seguendo un doppio binario. Segue il percorso della carne animale mostrando l'immacolata asetticità degli spazi in cui la si macella ma anche la scelta di parti di scarto finalizzate alla produzione degli hamburger. Ma, e questo rafforza la denuncia, segue anche la strada
che la 'carne' umana (i lavoratori clandestini) si trova costretta a percorrere tra umiliazioni, rischi fisici e necessità per le donne di piegarsi ai voleri dei maschi che possono decidere del loro futuro.

venerdì 8 febbraio 2008

sabato 9 e giovedì 14 febbraio - LE RAGIONI DELL'ARAGOSTA

sabato 9 e giovedì 14 febbraio - LE RAGIONI DELL'ARAGOSTA

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Un pescatore di aragoste contatta Sabina Guzzanti per sensibilizzarla sullo spopolamento del mare nella Sardegna occidentale. Inizialmente non interessata, l'attrice si entusiasma quando scopre il passato di operaio alla Fiat del pescatore. Non solo, ma allestire uno spettacolo per attirare l'attenzione dei media sulle aragoste potrebbe essere l'occasione per riunire la banda di
Avanzi dopo 15 anni. Senza contare che Pierfrancesco Loche, una delle colonne del gruppo di allora, si è trasferito nel villaggio di Su Pallosu e sarebbe felice di ospitarli. Inizia così un'avventura artistica e umana esaltante ma anche densa di ostacoli.
A due anni dal successo di Viva Zapatero, la Guzzanti torna al cinema con Le ragioni dell'aragosta, un film meno politico, polemico e compiaciuto, percorso da una vena felicemente introspettiva e personale. La riunione del cast di una trasmissione di culto degli anni Novanta è spunto per una sorta di Grande freddo all'amatriciana mai patetico o autocelebrativo, bensì fresco, sincero e accorato. Accanto alla gioia di rivedere gli altri e di rievocare una parentesi di lavoro e di vita irripetibile, ciascuno porta in dote i fallimenti personali: Loche ha abbandonato la recitazione per dedicarsi alla batteria nel suo eremo, Antonello Fassari e Francesca Reggiani cedono al panico pochi giorni prima dello spettacolo. Ma il momento di vulnerabilità più commovente appartiene a Cinzia Leone: il suo pianto a dirotto sulla terribile malattia superata mette i brividi. E anche la storiella sul brodo con cui Loche rincuora la Guzzanti in camerino prima dello spettacolo lascia il segno.
Non mancano divertenti accenni di satira contro Berlusconi e la Fiat, ma il fulcro del film sta nel pudico ritratto di una generazione che credeva di cambiare il mondo e che dal mondo, come tutti, è stata molto ammaccata. Speriamo che la Guzzanti incanali più spesso l'incontenibile narcisismo in questa direzione.

venerdì 1 febbraio 2008

Sabato 2 e Giovedì 7 Febbraio - SICKO

SICKO
Un film di Michael Moore. Genere Documentario, colore 120 minuti. - Produzione USA 2006.


sabato al termine del film incontro con il dott. Paolo Randi


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Michael Moore colpisce ancora. Questa volta il suo bersaglio è il sistema sanitario statunitense che costringe migliaia e migliaia di persone a morte certa perché prive di un'assicurazione. Ma questo argomento non è che il prologo di
Sicko perché in un breve arco di tempo l'attenzione si concentra su quelli che invece una copertura assicurativa ce l'hanno ma scoprono che le grandi e piccole società del settore escogitano qualsiasi strategia per evitare di pagare il dovuto.
Moore conosce alla perfezione i meccanismi della denuncia e quando ci mostra persone rispedite a casa (con taxi pagato però) senza alcuna cura perchè non in grado di sostenere le spese di ricovero o un uomo che, essendosi tranciato falangi di due dita lavorando, ha dovuto scegliere quali farsi riattaccare e quali non sulla base del prezzo, colpisce il bersaglio. La situazione americana in materia ha superato il limite del sopportabile e l'accusa è precisa e circostanziata. Moore però mostra, ancora più che nei film precedenti, i suoi punti deboli. Non ama il contraddittorio se non per metterlo in ridicolo e in questa occasione ha deciso di escluderlo totalmente. Nessun dirigente delle Società di assicurazione compare nel documentario. Ciò che poi più colpisce è l'immagine da Alice nel Paese delle Meraviglie che ci propone delle società canadese, inglese e, in particolare, francese. In quei mondi tutto sembra essere perfetto e idilliaco in materia di assistenza medica. Sappiamo bene che non è così ma Moore non sa resistere alla tentazione di idealizzare rischiando così in realtà di indebolire un j'accuse assolutamente fondato.
Quando fa scorrere sullo schermo con la grafica di Star Wars l'elenco delle malattie escluse da copertura assicurativa si ride ma lo si fa con l'amaro in bocca. Quando poi ci mostra i volontari che l'11 settembre 2001 si precipitarono a Ground Zero per aiutare nei soccorsi riportando malattie croniche che nessuno si preoccupa di aiutarli a curare non si ride più. Si pensa solo al cinismo e alla retorica della dirigenza di una grande nazione che 'usa' i propri veri eroi. Moore risponde a tutto ciò con il grottesco che gli è proprio. Subissato come tutti i suoi compatrioti da informazioni tranquillizzanti sul trattamento (anche dal punto di vista medico) dei detenuti di Guantanamo decide di portare i suoi volontari malati nella base americana per garantire loro le cure che l'Amministrazione Bush dichiara di prestare ai membri di Al Qaeda arrestati. Ovviamente non riesce nell'impresa e li fa curare dai medici di Cuba nelle cui farmacie un medicinale che negli States costa 120 dollari può essere acquistato per 50 centesimi. Questo lo ha fatto mettere sotto inchiesta per espatrio illegale e altre violazioni dell'embargo nei confronti di Cuba. È il tipo di clamore che il regista cercava? Forse sì. Forse no. Nonostante le esagerazioni di cui sopra resta però nello spettatore la sensazione che Moore creda profondamente alla frase di Tocqueville che inserisce nei titoli di coda: “La grandezza di un Paese si misura sulla sua capacità di porre rimedio ai propri errori"

venerdì 25 gennaio 2008

sabato 26 e giovedì 31 - In questo mondo libero

in questo mondo libero

di ken loach

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Angie è una giovane donna divorziata con un figlio undicenne, Jamie, che vive con i nonni. Licenziata in tronco da un'agenzia per cui procurava manodopera proveniente dai paesi dell'Est, Angie decide di mettersi in proprio. Insieme all'amica Rose crea un'agenzia di reclutamento che gestiranno in coppia. Il confronto con la realtà dell'immigrazione, clandestina e non, le imporrà delle scelte che non andranno tutte nella stessa direzione.
Ken Loach è un regista che si potrebbe definire 'necessario'. Necessario perché a ogni film (sia che parli di Glasgow, di Irlanda o di Spagna nella guerra civile) ci ricorda che questo mondo, il nostro mondo occidentale, non è il paradiso ma, a differenza di altri che accettanno ciò come un dato di fatto ineludibile, lui pensa che qualcosa si possa fare. L' "I care/Mi riguarda" di kennediana memoria è per lui un imperativo categorico a cui va data attuazione.
La quasi debuttante Kierston Wareing gli offre un valido aiuto sfaccettando il suo personaggio e offrendogli quelle variazioni dal positivo al negativo che spingono lo spettatore ad alternare adesione e repulsione nei suoi confronti.
Loach afferma: "Lo sfruttamento è cosa nota a tutti. Quindi non si tratta di una novità. La cosa che ci interessa di più è sfidare la convinzione secondo la quale la spregiudicatezza imprenditoriale è l'unico modo in cui la società può progredire; l'idea che tutto sia merce di scambio, che l'economia debba essere pura competizione, totalmente orientata al marketing e che questo è il modo in cui dovremmo vivere. Ricorrendo allo sfruttamento e producendo mostri".
Angie è un 'mostro' che sembra non accorgersi di esserlo. In lei convivono il bisogno di riscatto, la generosità e la più fredda e letale determinazione. È una donna che vuole sfondare in un territorio tipicamente maschile finendo con il fare proprie le caratteristiche più negative dell'altro sesso. Quasi come se Loach sentisse su di sé la differenza di approccio generazionale alle problematiche sociali le offre (grazie alla scrittura del suo più che fedele sceneggiatore Paul Laverty) uno specchio in cui riflettersi: l'anziano padre che, vedendola all'opera, non può non dirle: "Stiamo tornando ai vecchi tempi"? Ai vecchi tempi si usavano termini come sfruttamento, riduzione in schiavitù, proletariato. Oggi tutto è molti più soft. Il lavoro è 'interinale'. I contratti sono 'a termine'. Ma la realtà è ancora, dolorosamente quella.

giovedì 17 gennaio 2008

sabato 19 e giovedi 24 gennaio - TIDELAND - il mondo capovolto

TIDELAND di Terry Gilliam

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Provocatorio, offensivo, romantico. Il capolavoro di Terry Gilliam arriva finalmente in Italia (ultimo paese al mondo). Fiaba nera, imperdibile e indipendente, Tideland-Il mondo capovolto (2005) è uscito in 25 copie e la neonata Officine Ubu, che distribuisce, non può diffonderlo ovunque (a Roma è al Farnese e al Politecnico).
È una storia sconvolgente che, aggrappandosi a Lewis Carroll, diventa sostenibile. E che lancia Jodelle Ferland, star di 9 anni e mezzo della tv canadese, qui capace di trasformarsi in 19enne o 30enne a seconda delle necessità del copione, lì dove la situazione potrebbe traumatizzarla ed è invece lei, aiutata dalle sue 4 bamboline dalla testa mozza, a traumatizzarci con innocenza feroce (a 9 anni si metabolizzano da dio i telefilm, meglio degli adulti). Tideland è un western d'oggi, dark e d'amore, in cui le lucciole hanno un nome e si nuota, preferibilmente in aria e sottoterra. Pauroso, ma dalla luce gialla radiante, che non lascerà nessuno indifferente si amerà o si odierà. Sentimenti estremi, introvabili all'uscita dei multiplex ormai, quasi proibiti. L'epilettico Brendan Fletcher, la nemica delle api Janet McTeer e la schizzata Jennifer Tilly nel cast.
Tideland («La terra della marea») è tratto dal bestseller profetico (è impregnato di immagini dei disastri a venire), scritto nel 2000 dal trentenne texano Mitch Cullin. Lo scrittore fa capolino in una scena, sull'autobus, seduto dietro a un impresentabile e maleodorante Jeff Bridges, il «Mastroianni di Terry Gilliam», che dirige esibendo «la bontà e il mostro» che sono in noi e in una rock star, metà rosa e metà nero, trasformandolo nel protagonista meno imbalsamabile dell'anno. In Tideland c'è tutto quel che angoscia oggi il cittadino d'Occidente: eroina, anoressia e overdose; terrorismo, necrofilia e putrefazione della carne; petomania, pedofilia e violenza ai minori; follia, lobotomia e esotismo... eppure è un film che dice un grande sì alla vita. E rovescia il nostro modo di trattare l'infanzia solo come vittima sacrificale (leggi dati Onu), mentre è anche un unghiuto osso duro. Lo scopo è anche offendere la religione, per l'«esclusiva» che pretende di avere sulla morte. Provocare è, al contrario, un valore dell'Occidente, la libertà di parola e di espressione fino all'offesa. Se non fosse così, senza Illuminismo, qui e nell'Islam (non Abdullah II, re wahabita che incontra Ratzinger in questi giorni per far patti integralisti) metà delle commedie che si realizzano (e delle vignette, e dei cori ultrà) sarebbero illegali. Già, ma i cori ultrà offensivi sono già illegali....
Iconograficamente questa fiaba nera è molto ricca e provocatoria. C'è dentro Alice nel paese delle meraviglie e Psycho di Hitchcock, testoline semi-Barbie surrealiste, e dunque Svankmeyer; Bunuel del Cane andaluso e Walt Disney, l'adorato maestro di Gilliam (che è soprattutto un cartoonist), visto lo scoiattolo parlante. Il clima è da Zazie di Queneau. Molto citato il pittore gotico delle praterie, Andrew Wyeth, a cui il direttore della fotografia, il «nostro» esule Nicola Pecorini, ha aggiunto fish-eye, dinamismo da sublime steady-cameraman e un po' di acido lisergico degno di Paura e delirio a Las Vegas. La luce e i campi di grano sono autobiografici, ricordano il natio Minnesota del regista (ma il set è in Canada, perché solo lì Gilliam ha trovato la produttrice, con sensibilità e coraggio adeguati all'impresa).
Il regista inglese (ha appena rinunciato alla seconda cittadinanza Usa) che viene da Monty Phyton e passa per Brazil, Il senso della vita, Munchausen e altri capolavori né mainstream né underground, lo ha re-interpretato usando uno schema che, per ritmo narrativo, è antitetico alle leggi «aristoteliche» di Hollywood. Il metodo Gilliam è un fluxus continuo: 1.catturare subito il pubblico. 2. Tenerne costantemente desta l'attenzione, con ogni trucco 3. finire con qualcosa di memorabile. Missione compiuta.