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mercoledì 17 dicembre 2008

Venerdi 19 e sabato 20 dicembre - Sotto le bombe

Sotto le bombe

di Philippe Aractingi. Con Nada Abou Farhat, Georges Khabbaz, Rawya El Chab, Bshara Atallah. Titolo originale Sous les bombes. Drammatico, durata 98 min. - Francia, Gran Bretagna, Libano 2007.


Libano, 2006. All'indomani dell'annuncio del cessate il fuoco tra l'esercito israeliano e i militanti Hezbollah, Zeina parte da Dubai alla ricerca disperata della sorella e del figlio. Giunta in Libano, attraverso la Turchia, incontra un tassista disposto a condurla per trecento dollari nel sud del paese. Tony e Zeina intraprenderanno un viaggio nel cuore di una terra martoriata dalle bombe, imparando a conoscersi e affrontando insieme un futuro incerto.
Esistono film "di guerra" realizzati ad una certa distanza temporale dal momento storico messo in scena e altri prodotti se non contemporaneamente ai conflitti stessi, in stretta continuità temporale. Se prendiamo come termine d'esempio la Seconda Guerra Mondiale, Salvate il soldato Ryan risulta un buon esempio di film "diacronico", Sotto le bombe del regista franco-libanese Philippe Aractingi può essere a ragione inteso quale film "sincronico". Al di là dell'arbitrarietà che simili operazioni di categorizzazione si portano dietro, Sotto le bombe è stato davvero pensato dal suo autore durante il terzo conflitto armato israelo-libanese e realizzato in stretto rapporto, anche cronologico, con l'evento traumatico. Nonostante la generazione dell'opera in evidenti condizioni di urgenza emotiva e creativa, presupposto dichiarato a partire dal titolo, Sotto le bombe non viene confezionato in termini di propaganda.
Per nulla disposto a puntare il dito contro Israele o Hezbollah o a farsi portatore di una qualche rilevante valenza ideologica, Aractingi riflette sui modi di percezione della violenza da parte dei civili, estranei alle logiche geopolitiche delle potenze in conflitto. Il punto di vista è quello di una "platea" quotidianamente ferita da quelle stesse logiche.
Assimilata la lezione neorealista (la costruzione di un nuovo statuto del verosimile inteso a fare apparire più "realtà" sullo schermo) e disertato l'universo tradizionale dei teatri di posa, il regista introduce due attori in ambienti autentici integrandoli con i rifugiati: uomini, donne e bambini che interpretano se stessi. Il primo piano riguarda l'anima umana, immersa fino al collo nelle macerie e nella polvere alzata dalle bombe e nel vuoto morale e civile della società contemporanea. Il taxi di Tony, che accoglie, ricovera e accompagna la speranza di una madre sciita di ritrovare il suo bambino, è un'arca scampata a un diluvio di bombe, un mondo uterino dove persino il tassista cristiano acquieta la sua angoscia e sogna una "resurrezione". È anche e ancora il luogo dove resistere, ricercando quello che si è perso, un figlio o un fratello, il luogo dove riscoprire l'intimità e la dolcezza di cui i protagonisti avevano disperatamente bisogno.
La leggerezza e l'economicità delle nuove tecnologie hanno offerto all'autore condizioni ideali per condurre il cinema in un territorio pericoloso dove non sarebbe mai arrivato. Sotto le bombe e sopra le rovine, dentro i centri di accoglienza e in prossimità di ponti crollati aleggia infine un'insostenibile precarietà del vivere, sostituita nella dissolvenza in nero dell'epilogo con una pulsione alla vita: la carezza di un orfano a una madre privata di un figlio.

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martedì 9 dicembre 2008

venerdì 12 e sabato 13 - Improvvisamente, l'inverno scorso

Improvvisamente, l'inverno scorso

Un film di Gustav Hofer, Luca Ragazzi.
Documentario, durata 80 min. - Italia 2007.



uca e Gustav sono giovani, belli, hanno un buon lavoro e stanno insieme da più di otto anni. Hanno superato tranquillamente la crisi del settimo anno ma, all'inizio del 2007, si ritrovano ad affrontare un'emergenza ben più grossa che supera i limiti del privato. L'8 febbraio il governo italiano propone una legge sulle coppie di fatto, i famosi DICO (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi). A sedere sulla cattedra legislativa degli autori ci sono il Ministro Barbara Pollastrini e Rosy Bindi. Luca e Gustav, consapevoli dell'importanza dell'evento, decidono di prendere una telecamera digitale e andare in strada a intervistare la gente per capire meglio cosa sta succedendo.
L'idea dei due registi nasce da un'indignazione che è talmente forte da andare oltre a velleità artificiose ed esibizionistiche. Si mantengono saldi all'idea di mostrare uno spaccato della società italiana, con pregi e difetti, nel modo più autentico possibile. Non a caso, per salvaguardare una libera indipendenza autoriale, hanno lavorato con un budget di appena 4 mila euro, rifiutando finanziamenti di alcun genere. Il risultato è un ottimo lavoro che trova il punto di forza nella spontaneità degli intenti. I due protagonisti sono uno un esperto d'arte che lavora per un canale televisivo franco-tedesco e l'altro un giornalista specializzato in critica cinematografica. Conoscono il mestiere del cinema per passione ed è proprio questo temperamento genuino che li ha aiutati a costruire un reportage vero e commovente, senza ninnoli o abbellimenti, vicino alla realtà dei fatti.
Il film, che rimanda con il titolo allo scandaloso Improvvisamente l'estate scorsa di Mankiewicz, comincia mostrando la quotidianità della loro vita di coppia: la colazione al mattino, la lettura del giornale, il lavoro e gli hobby, compresi i litigi e gli screzi che tutti i conviventi (sposati e celibi, omosessuali ed etero) conoscono perfettamente. Poi la macchina da presa si sposta sulla legge in questione. Tutti i 14 articoli dei DICO, dal diritto di assistenza in caso di malattia alla successione nel contratto di locazione, sono spiegati in modo semplice e chiaro (forse per la prima volta in un modo così efficace!) con intere sequenze in stop-motion: le persone sono cartoni animati, la casa è di cartone, Speedy Gonzales è uno straniero e il "piccolo principe" è un extracomunitario. La voce narrante di Veronica Pivetti lega insieme gli avvenimenti, dalla proposta iniziale dei DICO all'insabbiamento finale della legge. Decreto che, dopo svariate discussioni in Senato e numerose manifestazioni popolari pro e contro, è svanito nel nulla. O meglio. Si è prima trasformato in CUS (che sta per Contratto di Unione Solidale) e poi si è perso definitivamente nei corridoi di Palazzo Madama. La cosa grave è che nessun politico, se escludiamo la Pollastrini, lo sta più cercando.
Luca e Gustav intervistano componenti della Militia Christi, partecipano alla fiaccolata de Il Trifoglio e chiedono ai manifestanti del Family Day che cosa pensano dei DICO. La ricerca non è faziosa, tante sono le risposte a favore tanto sono quelle contrarie. A fine documentario però rimangono in mente solo quelle negative: Buttiglione dichiara "Niente figli, niente famiglia" dimenticandosi delle coppie sterili, e molti altri ruotano attorno all'idea che "l'omosessualità è una devianza naturale, una malattia da curare", seguendo una linea preoccupante di omofobia aggressiva. Questa, accompagnata dall'influenza dei media e dalle incursioni del Vaticano, sconforta sempre più i due registi, partiti ottimisti e fiduciosi e finiti nell’amarezza di un'Italia che non avrebbero voluto scoprire.
Gli autori del documentario si rivelano due fuoriclasse. Di quelli capaci di rispettare il rigore e la fatica di un viaggio, tra polemiche ed acclamazioni, stando attenti a non scordarsi l'ironia e i paradossi della vita. Dopotutto è cosa nota: l'amore tra due persone è forse l'unico sentimento nobile e uguale per tutti. Ma la legge è un po' distratta e non ha ancora capito cosa significa la parola "tutti".

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giovedì 4 dicembre 2008

Venerdì 05 e sabato 06 - Go Go Tales

Go Go Tales
di Abel Ferrara.
Con Willem Dafoe, Bob Hoskins, Matthew Modine, Roy Dotrice, Riccardo Scamarcio, Burt Young, Stefania Rocca, Asia Argento.

Drammatico, durata 100 min. - USA, Italia 2007.


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Ray Ruby è il titolare di un club di lap dance denominato «Paradise» in downtown Manhattan. Lo coadiuva l'amministratore Jay mentre il silente fratello Johnny è colui che finanzia l'impresa. Il problema è dato dal fatto che il fallimento è alle porte e l'anziana proprietaria dell'immobile non sembra più contenibile.
Si precipita nel locale in piena attività reclamando i mesi di affitto non percepiti. Se aggiungiamo che Johnny comunica a Ray che non ha più intenzione di dargli un dollaro e che le ballerine sono intenzionate a tenersi addosso i vestiti in una sorta di sciopero dello strip tease, si può facilmente indovinare quale sia il clima che domina nel locale. Diventa indispensabile trovare una soluzione.
Dopo il complesso e controverso Mary, Ferrara torna a circondarsi di attori amici (Dafoe, Modine, Argento) per raccontarci un divertissement affollato e claustrofobico. Il Paradise diventa così un luogo al contempo vicino e distante dal lontano (nel tempo) New Rose Hotel. Distante perché là i personaggi erano poco numerosi. Vicino perché torna di nuovo a essere ampia la confusione sotto il cielo ferrariano.
Come nell'altmaniano Radio America ci viene raccontato il rischio di chiusura di un luogo d'intrattenimento. Ovviamente quello di Abel non può essere altro che un paradiso di nome per un inferno di fatto, dato non tanto dagli strip tease (assolutamente vietato toccare le ragazze), quanto dal tono da commedia in nero (quasi sontuosa sul piano fotografico).
Il Paradise è una babele di suoni, rumori e attrazioni da cui sembrano autoescludersi uomini e donne come esseri umani. Sono tutti impegnati nei loro ruoli da commedia. La commedia della vita? Se pensiamo al Ferrara dei film migliori dobbiamo dire di sì. Tre stelle alla carriera.