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giovedì 17 gennaio 2008

sabato 19 e giovedi 24 gennaio - TIDELAND - il mondo capovolto

TIDELAND di Terry Gilliam

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Provocatorio, offensivo, romantico. Il capolavoro di Terry Gilliam arriva finalmente in Italia (ultimo paese al mondo). Fiaba nera, imperdibile e indipendente, Tideland-Il mondo capovolto (2005) è uscito in 25 copie e la neonata Officine Ubu, che distribuisce, non può diffonderlo ovunque (a Roma è al Farnese e al Politecnico).
È una storia sconvolgente che, aggrappandosi a Lewis Carroll, diventa sostenibile. E che lancia Jodelle Ferland, star di 9 anni e mezzo della tv canadese, qui capace di trasformarsi in 19enne o 30enne a seconda delle necessità del copione, lì dove la situazione potrebbe traumatizzarla ed è invece lei, aiutata dalle sue 4 bamboline dalla testa mozza, a traumatizzarci con innocenza feroce (a 9 anni si metabolizzano da dio i telefilm, meglio degli adulti). Tideland è un western d'oggi, dark e d'amore, in cui le lucciole hanno un nome e si nuota, preferibilmente in aria e sottoterra. Pauroso, ma dalla luce gialla radiante, che non lascerà nessuno indifferente si amerà o si odierà. Sentimenti estremi, introvabili all'uscita dei multiplex ormai, quasi proibiti. L'epilettico Brendan Fletcher, la nemica delle api Janet McTeer e la schizzata Jennifer Tilly nel cast.
Tideland («La terra della marea») è tratto dal bestseller profetico (è impregnato di immagini dei disastri a venire), scritto nel 2000 dal trentenne texano Mitch Cullin. Lo scrittore fa capolino in una scena, sull'autobus, seduto dietro a un impresentabile e maleodorante Jeff Bridges, il «Mastroianni di Terry Gilliam», che dirige esibendo «la bontà e il mostro» che sono in noi e in una rock star, metà rosa e metà nero, trasformandolo nel protagonista meno imbalsamabile dell'anno. In Tideland c'è tutto quel che angoscia oggi il cittadino d'Occidente: eroina, anoressia e overdose; terrorismo, necrofilia e putrefazione della carne; petomania, pedofilia e violenza ai minori; follia, lobotomia e esotismo... eppure è un film che dice un grande sì alla vita. E rovescia il nostro modo di trattare l'infanzia solo come vittima sacrificale (leggi dati Onu), mentre è anche un unghiuto osso duro. Lo scopo è anche offendere la religione, per l'«esclusiva» che pretende di avere sulla morte. Provocare è, al contrario, un valore dell'Occidente, la libertà di parola e di espressione fino all'offesa. Se non fosse così, senza Illuminismo, qui e nell'Islam (non Abdullah II, re wahabita che incontra Ratzinger in questi giorni per far patti integralisti) metà delle commedie che si realizzano (e delle vignette, e dei cori ultrà) sarebbero illegali. Già, ma i cori ultrà offensivi sono già illegali....
Iconograficamente questa fiaba nera è molto ricca e provocatoria. C'è dentro Alice nel paese delle meraviglie e Psycho di Hitchcock, testoline semi-Barbie surrealiste, e dunque Svankmeyer; Bunuel del Cane andaluso e Walt Disney, l'adorato maestro di Gilliam (che è soprattutto un cartoonist), visto lo scoiattolo parlante. Il clima è da Zazie di Queneau. Molto citato il pittore gotico delle praterie, Andrew Wyeth, a cui il direttore della fotografia, il «nostro» esule Nicola Pecorini, ha aggiunto fish-eye, dinamismo da sublime steady-cameraman e un po' di acido lisergico degno di Paura e delirio a Las Vegas. La luce e i campi di grano sono autobiografici, ricordano il natio Minnesota del regista (ma il set è in Canada, perché solo lì Gilliam ha trovato la produttrice, con sensibilità e coraggio adeguati all'impresa).
Il regista inglese (ha appena rinunciato alla seconda cittadinanza Usa) che viene da Monty Phyton e passa per Brazil, Il senso della vita, Munchausen e altri capolavori né mainstream né underground, lo ha re-interpretato usando uno schema che, per ritmo narrativo, è antitetico alle leggi «aristoteliche» di Hollywood. Il metodo Gilliam è un fluxus continuo: 1.catturare subito il pubblico. 2. Tenerne costantemente desta l'attenzione, con ogni trucco 3. finire con qualcosa di memorabile. Missione compiuta.

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